Quale legge

Quale legge per lo psicanalista?

Giovanni Sias

“Talvolta mi stupisco perché gli analisti sembrano veramente credere che sarà loro consentito di essere psicanalisti – non so perché. Non sono certo che noi tutti non dovremmo essere pronti a «passare alla clandestinità», come suole dirsi”. W.R. Bion, Seminari Tavistoch.

Da tempo, in Italia, si registrano ondate di giubilo fra i dirigenti dell’ordine degli psicologi. Il motivo di tanta euforia sta in una recente sentenza della suprema corte di cassazione, che accoglie il ricorso degli psicologi contro una psicanalista e decide che ogni colloquio è un atto medico, e dunque, chi lo pratica, deve essere in regola con la legge dello Stato che prevede l’iscrizione all’albo degli psicoterapeuti dell’ordine dei medici o degli psicologi.

Nella sentenza dell’11-04-2011, n.14408 è scritto:
Ed invero, esclusa ogni eccepita violazione di cui all’art. 521 c.p.p. stante il tenore “di ampio raggio” della contestazione mossa alla ricorrente, va ribadito il principio di diritto già richiamato da questa Corte di legittimità (cfr. Sez. 3, 24-4-08 n. 22268, Caleffi) secondo cui, ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 348 c.p., l’esercizio della attività di psicoterapeuta è subordinato ad una specifica formazione professionale della durata almeno quadriennale ed all’inserimento negli albi degli psicologi o dei medici (all’interno dei quali è dedicato un settore speciale per gli psicoterapeuti). Ciò posto, la psicanalisi, quale quella riferibile alla condotta della ricorrente, è pur sempre una psicoterapia che si distingue dalle altre per i metodi usati per rimuovere disturbi mentali, emotivi e comportamentali.
Ne consegue che non è condivisibile la tesi difensiva della ricorrente, posto che l’attività dello psicanalista non è annoverabile fra quelle libere previste dall’art. 2231 c.c. ma necessita di particolare abilitazione statale. Di tanto l’imputata era comprovatamente sprovvista.

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